COME UN BAMBINO IN RIVOLTA
(IL LIBRO DI UBU)

ED. TEATRO DUE MONDI, FAENZA, MARZO 1989

Introduzione

Queste pagine raccolgono alcune parti del volume omonimo edito a cura del Teatro Due Mondi, e al quale si fa riferimento nel testo.

A Mario Chiappuzzo, il primo che ci ha fatto ascoltare i cani.

(premessa)
Un libro per dar corpo a una riflessione, per darne pubblica conoscenza. Un passo ulteriore, quindi, oltre la natura del fare teatro.
Un libro dove quantificare l’indignazione e la rabbia. Un libro sulla violenza, quella che noi diciamo “necessaria”, quella del debole. Politica e storica, culturale.
Un libro fatto da un gruppo che lavora in teatro: una ricerca nel vivo della contraddizione dei linguaggi. Per dar luce all’impalcatura che sottende la nostra riscrittura di questo Ubu Re, spettacolo parzialmente patafisico, e pacifista.
Un libro al quale collaborano altri attori, con i propri racconti di violenza. E altri compagni, militanti del movimento non violento, con alcune storie, e col riflesso del loro impegno. Un libro tra i tanti dell’industria culturale. Forse con una propria diversità e dignità. Un libro che raccoglie pareri e idee. Non documentazione di una ricerca o un lavoro, ma piuttosto la speranza di un inizio di discorso.

(testo)
1. Un teatro eversivo e diseducativo, in un panorama di preoccupante omologazione. Compito non facile, quello che si chiede agli attori: di raccontare con le parole di altri una loro ansia di libertà – libertà relativa, tutta quella possibile – creativa, di vita, di pensiero.

2. Alcuni elementi di riflessione, e alcuni dati fisici: la nebbia e il sudore. Quando abbiamo intrapreso questo progetto, nel 1983, avevamo davanti a noi molte possibilità e molta nebbia, presenza consueta e imbarazzante nella Romagna invernale.
Il primo obbiettivo che ci siamo posti, all’interno di una strategia che doveva portarci a fare del teatro il nostro mestiere, è stato quello di confrontarci proprio col teatro come mestiere: arte, fatica, sudore, metodo, disciplina, fantasia…

3. Il nostro percorso di lavoro e di studio passa attraverso i nostri quattro spettacoli iniziali, felici. Felici perché fatti con felicità, con speranza, in tempi infiniti, antieconomici, dove provare tutto: come scrivere, come dirigere, come creare. E ogni volta un sacco di cose da cambiare – nel metodo – e un sacco di cose invece che ritornano. Cercare di capire se queste cose sono “nostre” o sono rubate, e cercare una propria identità nel ritmo, nel tempo. Spettacoli di poche repliche, di poco costo (in denaro, per la produzione), spettacoli come biglietti di banca che si andava a spendere sul mercato teatrale, non per comprare ma per farsi comprare. E accanto, cresciuta in modo inatteso, la produzione per il teatro ragazzi, i festival, le tournée, il contatto col mondo del lavoro. La commercialista e l’organizzatrice, l’associazione culturale o la cooperativa, l’inps, l’enpals. E le rinunce, il gruppo che si assottiglia, gli sbocchi diversi per alcuni, i matrimoni… Ma non c’è solo tristezza nel ricordo, – voglio dire, in questo ricordo -o nostalgia per le discussioni, per quell’animosità ragazzina che mettevamo… C’è anche la gioia che dà l’avventura di questa vita, perché ci sono sempre nuovi incontri, altre persone si affiancano, e nuovi spettacoli sono da fare.

4. E a un certo punto ti prende la necessità di fare un bilancio, di capirci di più. Necessità professionale ma tua, rispetto verso te stesso, oltre l’apporto dei critici – di mestiere, occasionali – e oltre lo specchio immaginario oltre il quale “essere”, ed essere definibile a te stesso. Venivamo, ed era ormai l’ottantasette, da spettacoli molto diversi tra loro, quindi avevamo disseminato il nostro percorso di segnali contraddittori. Anche per scelta, per lasciare ampia possibilità a quello che ci poteva accadere… Ma a quel punto, dopo tutto, c’era la necessità di trovare una linea all’interno del nostro discorso, una strada principale che pur conservando le sue diramazioni secondarie, gli eventuali incroci, ci permettesse di puntare a una fine, un traguardo possibile. Forse già nelle prove di Nora qualcosa stava saltando fuori, ma bisognava andare oltre: se durante le prove avevamo visto lo spettatore seduto, e avevamo sentito il bisogno di fare uno spettacolo per lui – lui che guarda, ascolta… – ora dovevamo arrivare a parlargli con parole sicure.

5. Anche per questo, le prove di questo Ubu sono cominciate – ormai molto tempo fa… – in modo un poco differente dal solito. Del resto molte erano le cose che dovevamo modificare, precisare, perfezionare, come già detto. Ubu strutturalmente aveva tante cose di cui avevamo bisogno: i dialoghi, uno sviluppo (e una drammaturgia), il divertimento, i personaggi, la fantasia, lo sberleffo… Un banco di prova severo, per me, per Alberto, e per gli attori. E proprio sugli attori è andato a cadere il peso maggiore, credo, su quell’animale strano e indefinito che è l’attore del TDM: muscoli, energia, dinamismo… e proprio dallo stato di empasse che ne è derivato è nato un senso d’insoddisfazione. Si, mi dicevo e dico, va bene l’energia, l’equilibrio, l’extra-quotidiano, va bene (è la mia, profondamente) la parola difficile-da-parlare, ma deve esserci qualcos’altro.

6. E intanto, su piani differenti, proseguiva il lavoro. La riscrittura del testo, faziosamente, si prefiggeva di costruire una storia di eversione: in fondo, questo novello Macbeth che è Ubu, sobillato dalla sua Lady, altro non deve fare che ripetere lo stesso omicidio che mille altre volte in teatro e nella vita è stato raccontato. Un re uccide un re, ne prende il posto, ne replica valori e gerarchia, e si prepara ad essere ucciso da un nuovo re. Ma questa volta qualcosa non funziona. Ed è Ubu che non funziona come re.
Perché antepone la propria visione del mondo ai suoi doveri verso la Storia. Ubu non è un re di pace, anzi. E’ un massacratore di nobili, finanzieri, magistrati, contadini, nemici. Un guerrafondaio, ma nel teatro. E teatrale è la sua guerra di cannoni di polistirolo, dove i soldati colpiti si rialzano alla fine della scena – così come si rialza lo spettatore al termine dello spettacolo. Allora Ubu è eversivo proprio perché, seguendo la sua logica, massacra per difendere sé stesso e la sua teatralità, azzerando una struttura di potere (la gerarchia polacca=i valori consolidati) e chiamandoci alla sua guerra. Noi aderiamo, e tentiamo di combatterla con lui, coi nostri fucili a tappi, e sporchi di sangue pomodoro. Con la gioia che può dare un massacro di politici…

7. Però. Quell’Ubu ci appassionava ma non ci piaceva, non riuscivamo a rubargli il cuore. Perché invece di diventare la sintesi del nostro lavoro, ne aumentava la frattura? Negli spettacoli precedenti, con la sola esclusione di quello sul circo, avevamo sempre parlato di noi, della nostra storia di gruppo, del nostro momento. Parlare di noi, attraverso la metafora dello spettacolo prescelto: in Primo studio era il nostro laboratorio, in Viaggio era la definizione di un metodo, di un’educazione, in Nora era la fine di una fase e l’inizio di un nuovo viaggio…
Forse, se avessimo dato questo tipo di materiale agli attori, un materiale personale, provocando una confusione… loro avrebbero avuto stimoli diversi…
Ed è stato lì, mischiandoci con Ubu, che abbiamo scoperto delle strane contiguità, tra la nostra storia e quella del burattino francese: anche noi volevamo vivere senza riconoscere le leggi, quelle di mercato, quelle del salario, quelle guerrafondaie dello stato. Alberto e Angela combattono la loro battaglia per “sopravvivere” come gruppo in un contesto assolutamente contrario, e sanno che per farlo devono riuscire a imporre un proprio punto di vista al mondo. Anche Ubu vive in un suo punto di vista, con valori diversi da quelli di Venceslao, Bordure, Bugrelao, e Madre Ubu.
Anche Ubu ha bisogno di un suo teatro per esistere.
Abbiamo allora cominciato a ragionare sull’attore come macchina ambigua, sull’attore “elisabettiano”, per intenderci, per portare sul palco l’attore e il personaggio. Dal rapporto di Renato con Ubu, e di Angela con tutti gli altri personaggi, sono scaturite tutta una serie di conseguenze/incongruenze: come fare, su che cosa lavorare. Per questa strada ci siamo avvicinati allo scontro col personaggio, un momento credo fondamentale, che gli attori – e noi pure del resto – erano riusciti ad evitare per anni, glissando sulla superficie dei miei testi, così poco ruvidi, così troppo personali… forse comodi da sentirsi addosso.
Su questa contraddizione è partito un modo diverso di lavorare, che coniuga energia e vita interiore, conoscenza della partitura ginnica ma anche del diario personale del personaggio.

8. Sono passati altri mesi, altre storie. Noi abbiamo bloccato il lavoro, abbiamo deciso di sopravvivere senza uno spettacolo fino a quando questo non fosse terminato.
Quindi un nuovo debutto, il “nuovo” rapporto con Marco e le Albe, e un “volantino”-programma di sala che l’accompagnava. Su quel volantino (in questa sede approfondito e maggiormente motivato) sta scritto quest’ultimo pezzo della nostra storia. E da qui parte l’idea di un lavoro più complesso, che esce dal teatro e va a cercare nuovi stimoli anche nella politica: un libro dove documentare questo momento, e dove ospitare anche interventi di altri.

9. In che relazione mettere questa nostra idea di violenza necessaria e lo spettacolo? Come distinguere il nostro pensiero e il nostro teatro? Forse tenendo chiaramente distinti i due linguaggi…

10. Allora lo spettacolo. Abbiamo situato l’azione su un palcoscenico, attorno a un castello e a una torre mobile, popolandolo di armature/manichini, di maschere, attrezzandolo “teatralmente” con fari, piantane… E chiamando lo spettatore – come ormai di regola nei nostri spettacoli – a presenziare e a completare con la sua attenzione partecipazione le parti incompiute della storia.
Come di consueto, inoltre, è nell’extra-ordinario che siamo andati a cercare di costruire i nostri modi teatrali – gesti, voce – cercando sempre di arrivare a definire lo spazio del teatro come spazio extra-quotidiano, con ritmi, tempi, diversi da quelli che subiamo giornalmente dal lavoro, o dalla televisione, per intenderci. (E qui aggiungiamo il testo dello spettacolo e le foto, per completare la documentazione)

11. Quello che era al centro dello spettacolo era la trasgressione. Trasgredire era guardare con occhi propri, e rivendicarlo. Era voglia di giustizia e di giustiziare. Uccidere A… e D. M…, ogni replica, davanti agli occhi di tutti. E qui cominciava anche una riflessione – compiuta solo in eseguito – sulla violenza, e su quella politica in particolare. Dopo il trauma Brigate Rosse, la politica dell’emergenza, i vari teoremi di matematici approssimativi. E soprattutto dopo il dibattito sulla vita umana, quello che ha investito la nuova sinistra, e ha suscitato un dibattito ricco, spregiudicato, franco, dopo che molti si sono – ancora una volta – rimessi in gioco, dopo, dopo… dopo ci sono state conclusioni affrettate, tirate da chi quel dibattito l’aveva appena sfiorato. Da chi poteva farlo, perché‚ era rimasto incrollabile nelle sue certezze, di ordine, di pu(o)lizia (!?). E si era arrivati a una omologazione di pensiero, che in quanto tale è sempre negativa, e lo è due volte in questo caso: la violenza politica è cattiva, è di destra, e così via.
Era strano sentir parlare della morte al telegiornale. Strano vederla uscire tra un dentifricio e un piatto di spaghetti, nel ritmo consueto degli spot.
Strano che ne parlassero ancora loro, quelli che parlano del governo, di politica internazionale, ma anche di calcio, o di discoteche.
Argomento di conversazione, la morte degli altri. Lo scopo, far confusione, far trionfare il luogo comune.
Perché se è vero che la morte è uguale per tutti, e che è portatrice di dolore, e che è un atto di giudizio che non ci compete, e che lottiamo perché la stessa pena di morte venga abolita in ogni stato dove ancora esiste, è pur vero che invece la vita non è uguale per tutti, e quel che un uomo fa in vita ha un significato profondo anche per gli altri uomini. Le morti (la fine della vita) di Hitler e Gandhi forse si assomigliano, ma non le loro vite. E anche le vite di chi lavora per un pianeta a misura d’uomo, nella speranza (arruffona, indolente) reale di una dimensione di miglioramento, e di chi passa il proprio tempo a organizzare il proprio prestigio, il proprio potere sugli altri e a danno degli altri. E’ diverso l’artigiano falegname, il naturista animalista, da Raul Gardini. Ha valori diversi. E forse, la diversità stà nel fatto che “ha valori”, e ragiona come un essere umano. Tutto questo, per me, uomo, ha pure un senso…
E senza menarla troppo coi vari discorsi su polizie e simili, è pur vero – anche – che interi popoli devono far uso della violenza (e penso ovviamente alla Palestina, ma penso anche che non manchino troppi altri esempi, e penso ai colonialismi, economici ma anche culturali…)
Non è possibile – e questo è un errore strategico fondamentale, dalle conseguenze orribili e imperdonabili – porre l’Italia, la Germania, su uno stesso piano con la Palestina.
Ma quello che a un certo punto è parso friabile, è il nuovo fronte della fermezza. Per noi, teatranti, si apriva il varco per una legittima rappresentazione della violenza, una metafora che potesse rappresentarci appieno così come aveva rappresentato altri prima di noi.
E ciò che importa, è che potevamo contribuire a un discorso tra molti. Potevamo offrire un nostro punto di vista.

12. Per noi è sempre stato chiaro che ogni nostro gesto, privato o pubblico, come uomini e come teatranti, era politica. Non quella delle assemblee o delle barricate, ma politica. Uno spettacolo stupido o intelligente, un intervento nostro nelle assemblee o sulle barricate, una proposta di lavoro a un ente pubblico. E ancora, quello che facciamo dentro il teatro, dentro uno spettacolo, anche se non parla di politica, ecologia, sfruttamento dell’uomo sull’uomo, è la nostra politica nel teatro. Il fatto che preferiamo lavorare in un modo anziché‚ in un altro sul palco, fuori, nei rapporti di distribuzione e di vendita. Questo costringe lo spettatore, se siamo bravi teatranti, a confrontarsi con quello che pensiamo. Forse anche per questo, per palesare il nostro bisogno del confronto, Nora presenta una struttura che esige lo spettatore, e si presenta come un racconto che noi facciamo a…
La determinazione di uno spazio con tempi propri, slegati o contrapposti ai tempi che ci vengono imposti per vivere: questa è, e l’abbiamo scritto meglio altrove (Patalogo 9), politica. Stretto contatto con la città, progettualità lanciata sulla città: forse l’esperienza di co-gestione di un centro giovani (1985) con laboratorio permanente dal 1987, il lavoro nelle scuole, il progetto chiamato AB Teatro Festival (1984), o quello detto Al Teatro con la Luna (1988 e, speriamo, segg.), la nostra partecipazione alla vita di altri gruppi e altri giornali, pubblicazioni, momenti pubblici, convegni. Per far conoscere un’idea, e le potenzialità di quell’idea. Perfino a ROMAGNA MIA (Bagnacavallo 1987) siamo andati sviluppando qualcosa di nostro, cercando di dialogare con gli altri (Albe e Raffaello Sanzio) pur restando fedeli a noi stessi. E questa stessa preoccupazione è presente oggi, davanti a un progetto come quello di Ubu, che è il nostro teatro e insieme il tentativo di un’alleanza politica e una riflessione (col Movimento Nonviolento, su un’idea di violenza necessaria…)

13. Ancora lo spettacolo. La Storia poi si riprende la storia, e come in ogni favola che si rispetti, e come del resto nella realtà, arriverà un terzo re a ripristinare l’ordine costituito, la gerarchia, i valori. Ubu fuggirà, non troppo sconvolto né dai fiumi di sangue fatti scorrere, né dal fatto di aver perso un regno, verso nuove terre-avventure. Egli altro non è che personaggio teatrale, alieno dalle preoccupazioni degli uomini.
Ci stiamo giocando molto, su questo “Ubu distratto” dalla patafisica, e che ci siamo ricuciti addosso. Per la costruzione di un mondo pata-politico, a difesa del quale ci schieriamo, contro il mondo massacrabile della politica…

Gigi Bertoni

 

Produzione 1988
TEATRO DUE MONDI

UBU RE
di Gigi Bertoni da A. Jarry

Personaggi:
1 attore che impersona UBU

1 attrice che impersona Madre UBU e tutti gli altri
La scena è composta da un’impalcatura di tubi innocenti, in parte fissa, in parte mobile – su ruote, una torre. Il colore dominante è il grigio. Spiccano alcuni elementi colorati, di forma geometrica, montati su canne di fiume. Anche il trono è di canne, color oro… Oltre a questo, sul palco abbiamo tre “manichini” e alcune maschere, che riprendono i temi geometrici delle decorazioni. Altri materiali sparsi appartengono agli spettacoli precedenti del Teatro Due Mondi sedie, giacche, cappotti)

SCENA 0: Il Prologo

L’attore entra con una candela accesa, nel buio. Si siede accovacciato, appoggia la candela davanti a sé, ripetendo uno dei più elementari esercizi di concentrazione. Prende il tempo, poi, quando “è pronto”, dice il testo che segue parlando al pubblico. E’ l’unico momento “ordinario”, esplicito, perché poi suo compito sarà quello di confondere lo spettatore…

P.U: Ogni spettacolo oscilla tra due pericoli, così come la vita cammina sul filo di seta dell’intelligenza. E dopo mille repliche, si pensa, cosa può cambiare… Ma finché siamo vivi, capita sempre qualcosa che muta colore agli oggetti, senso al sorriso degli altri: una morte, un arresto, la prova della propria impotenza. O qualcosa che ci cambia giorno dopo giorno. Ed è stato così, per l’andar del tempo, con la vecchiaia di questo spettacolo, e l’ombra lunga allora di una morte a coprire polvere e scene, che Ubu è diventato impossibile da giocare come qualcosa d’altro, di diverso da noi, dal racconto di noi. Il motivo è segreto ma le ragioni tanti e palesi: questa vita è troppo spesso insopportabile, troppo spesso indegna di essere combattuta. E il diaframma che ci separava dalla rappresentazione è caduto, o s’è confuso in una nebbia inconsistente e traversabile. Merdra(dolcemente).
La
mia sola possibilità è di favorire la vostra confusione, farvi cadere dal vostro seggiolino di spettatori, e farvi provare indignazione, sospetto. Ubu io stesso, io che parlo di Ubu, e lui che mi diverte tra i suoni delle parole che ascoltate. E se ora mi coricherò sulla scena, e fingerò di dormire, ed essere Ubu, non di meno per questo rischierò la mia intelligenza, e la possibilità di sopravvivere come uomo. Così voi, fingete interesse e vi illudete di essere solo a teatro, mentre in realtà rischiate voi stessi e la sola possibilità che avete di vivere come uomini…
Va a coricarsi: Entra Madre ubu, spegne la candela, e aggancia e solleva Ubu (vd lo spettacolo com’era…)


SCENA 1: Lo spettacolo

P.U: Merdra !(E’ un Ubu “atteso” quello che apre lo spettacolo. Si tenta di far dimenticare quel prologo così poco teatrale, con l’energia di un classico… Issato dall’attrice che impersona Madre Ubu, per mezzo di un gancio e una carrucola, all’interno della torre mobile, “vola” come …)
M.U: Padre Ubu sei proprio un gran signore…
P.U: Potessi accopparti Madre Ubu…
M.U: Non sono io che dovresti uccidere, ma un’altra persona. (Re Venceslao, forse, o il ministro Gava…)
P.U: Per la mia candela verde, non capisco di chi parli.
M.U: Come padre Ubu, immagino che tu sia contento della tua giornata?
P.U: Merdra, signora mia, si certo, sono contento. Lo sarei per molto meno: capitano dei dragoni, ufficiale di fiducia del re Venceslao, decorato dell’ordine dell’aquila rossa di Polonia e già re di Aragona: mi sembra una carriera interessante.
M.U: Come no! Dopo essere stato re ti contenti di condurre alle riviste un plotoncino di sgherri armati di pistole ad acqua, quando potresti veder brillare sulla tua persona la corona di Polonia, dopo quella reale di Aragona!
P.U: Ah! Madre Ubu non capisco niente di quello che dici.
M.U: Sei talmente sciocco.
P.U: Per la mia candela verde, il re Venceslao è ancora ben vivo e grazie anche a me. E, anche ammettendo che possa morire per qualche ragione, non ha forse legioni di figli, madri, mogli, suoceri, nipoti?
M.U: E chi ti impedisce di massacrarli tutti e di prenderti il loro regno? Potresti aumentare senza limiti le tue finanze, mangiare spessissimo del salame, andartene tutto il giorno in giro in carrozza, e la gente verrebbe da destra e da sinistra e ti applaudirebbe, e griderebbe: viva re Ubu, viva re Ubu, viva re Ubu, viva Ubu re, il più grande dei grandi re! (l’attrice sgancia il cavo, e Ubu crolla a terra…)
P.U: Se fossi…
M.U: Se fossi… (si allude qui a cambiamenti cosmici: l’unica soluzione è la rivoluzione)
P.U: Se fossi re, mi farei costruire una grande cappellina…
M.U: E potresti avere anche un ombrello a pois rossi con grandi nappe viola e un gabbano tutto ricamato fino ai piedi, e un cavallo, un bellissimo cavallo da finanze… per non dire altro.
P.U: Ah! questo è troppo. Cedo alla tentazione. Pezzo di merdra e merdra e merdra, se mai lo incontro in un angolo del bosco lo uccido, e se lo vedo in qualche buio anfratto del castello lo accoppo…
M.U: Bravo Padre Ubu, adesso si che ti riconosco, sei proprio un vero uomo. (uomini veri, ma… P.U: si ricrede, è leale…) Oh no. Io, capitano dei Dragoni, massacrare il re e tutti i suoi soldati! Preferisco morire!
M.U: Oh merdra. Così Padre Ubu farai la tua fine da topo.
P.U: Ventre blu, preferisco fare una fine come un magro e bravo topo che come un cattivo e grasso gatto.
M.U: Pensaci Padre Ubu, diventare re, re di Polonia: mangiare spessissimo del salame, andartene tutto il giorno in giro in carrozza, e avresti un ombrello a pois rossi, e un gabbano lungo fino ai piedi e una bella cappellina, e bauli, bauli di finanze e un cavallo un bellissimo cavallo da finanze… (La lusinga della cappellina evidentemente funziona…)
P.U: Bene. E dopo, Madre Ubu?
M.U: E dopo, dopo sarai re, re di Polonia, ed io sarò regina…
P.U: Io sarò re, e tu sarai regina. Io sarò re, sarò re sarò re…
M.U: Merdra, credo proprio di avercela fatta. Grazie a Dio e a me, forse fra otto giorni sarò regina di Polonia.

SCENA 2: Il complotto
semplice cambio di luce. Ai cospiratori si addice l’oscurità…)
M.U: Vieni padre Ubu, mettiamoci a tavola. Aspetto alcuni ospiti per cena. Questa è la cena del complotto e i nostri invitati sono molto in ritardo.
P
.U: Per la mia candela verde, ho fame. Madre Ubu, perché abbiamo gente a cena?
M.U: Merdra… saranno i nostri alleati contro Venceslao (Padre Ubu e Madre Ubu hanno costumi fatti essenzialmente di alcune parole, e c’è gran gusto nel dirle…)
P.U: Ho fame, ora. Addenterò questo pollo, non è cattivo.
M.U: Fermo!, è per i nostri ospiti
P.U: Che impazienza Madre Ubu, va dunque alla finestra, e guarda se non stiano per caso arrivando.
M.U: No, non si vede nessuno. Ah, ecco il capitano Bordure con i suoi soldati. Buona sera capitano Bordure. Prego si accomodi. Buona sera signora Madre Ubu. (Per l’attrice cominciano i problemi, deve essere più personaggi insieme, alternativamente, pur restando sempre, essenzialmente, la Ragione, il Meccanismo, la Razionalità. E pur essendo capace di slanci e di sogni…)
P.U: Cosa c’è di buono oggi?
M.U: Ecco il menu: zuppa polacca, costate di rastrone, vitello, pollo, pasticcio di carne, codrioni di tacchino, charlotte russa…
P.U: Basta, sono sazio…
M.U: Gelato, insalata, frutta, dolce, lesso, topinamburg, cavolfiori alla merdra, crema alla merdra pasticcera…
P.U: Cosa?
M.U: Crema pasticcera alla merdra!
P.U: Capitano Bordure, siete soddisfatto?
C.B: Si, molto bene grazie, tutto squisito, tranne la merdra pasticcera.
P.U: Non è cattiva la merdra pasticcera…
C.B: Dipende molto dai gusti…
P.U: Capitano Bordure, ho deciso di farvi duca di Lituania.
C.B: Grazie Padre Ubu, vi credevo molto più pidocchioso. Ma in virtù di cosa, se posso?
P.U: Tra qualche giorno regnerò in Polonia. Sapete come?
C.B: Ucciderete Venceslao…
P.U: Vi credevo più scemo, Bordure.
C.B: Se si tratta di uccidere Venceslao ci sto.
P.U: Come?
C.B: Ripeto: se si tratta di uccidere Venceslao, ci sto!
P.U: Vi amo Bordure, vi amo.
C.B: Ah, ma che puzza avete, mi appestate! Ma non vi lavate mai? No, mai, non si lava mai…
P.U: Amici, questa è la cena del complotto.
C.B: Ma veramente la cena l’abbiamo già fatta! (ops!)
P.U: E’ tempo di fissare il piano del complotto. Abbiamo bisogno dell’oscurità per tramare le trame, fate un po’ di buio, compare. Ora sì abbiamo l’aria da cospiratori.
C.B: Parlate padre Ubu.
P.U: Ebbene amici, sono del parere di avvelenare il Re.
C.B: Che cialtrone!
P.U: Come, non vi garba?
C.B: Io veramente vorrei dargli una grande spadata sulla testa che lo spacchi in due parti precise: ecco un gesto nobile e prode.
P.U: E se si ribella e vi prende a calci? Se fossi sicuro andrei a denunciarvi per tirarmi fuori da questo pasticcio e mi darebbero anche trenta denari.
C.B: Traditore, abbasso Padre Ubu, abbasso Padre Ubu!
P.U: Signore, state buono se non volete visitare le mie tasche. Va bene, correrò i miei rischi per voi. Allora, ecco il piano. Io tenterò di pestargli i piedi, lui farà resistenza, allora io gli dirò: merdra!, e a questo segnale vi butterete su di lui.
C.B: e appena sarà morto voi prenderete la sua corona e io correrò con i miei uomini a massacrare la famiglia reale.
P.U: Si, e specialmente il giovane Bugrelao.
(a parte, cambia tono, è l’Attore che parla; anche per lui cominciano i problemi: passare dal racconto della violenza alla violenza, dimostrare la propria scelta di campo…)
Uccidere il re, per essere re, mentre in realtà tutto quello che mi interessa e quello che voglio è poter essere re di questo mondo di cartone, di queste spade di legno. Considerare ignobile questo gioco di sostituzione della Storia, dove l’importante è che non cambi nulla…

SCENA 3: La morte del re
(I due attori sono coscienti del gioco di rappresentazione, gioco in cui la posta è la vita stessa. Ma riprende lo spettacolo: l’attrice stende al ritmo del tamburo una teoria di giacche militari, appese a un filo, come bucato ad asciugare…)
Venc.:(al suono di tamburo) Nobile padre Ubu, avvicinatevi col vostro seguito per passare in rassegna le truppe
P.U:(forte) Veniamo, Signore, veniamo
Ven:(+forte) Ecco il reggimento a Cavallo delle guardie di Danzica, non li trovate bellissimi, signore?
P.U:(++forte) Veramente credo che siano una meschina accozzaglia, signore!
Ven:(+++forte) Che cosa vi prende Padre Ubu, vi ha dato di volta il buzzino?
P.U:(++++forte) Ecco cosa mi prende: merdra!(lo colpisce. Crolla anche il filo con le giacche)
Att. Urrà! il re è morto, il re è morto!
P.U: Ho la corona, ucciderò il figlio adesso! Bugrelao, Bugrelao dove sei, dove ti sei cacciato. Ah, Bugrelao, figlio del vecchio re di Polonia, ti ho preso! (l’attrice si moltiplica…)
B: Vivaddio! Difenderò me e mia madre fino alla fine, se fai un passo sei morto.
P.U: Ecco, lo sapevo, si ribella. Sarà magari un’impresa farlo fuori.
B: Furfante, otre pieno di vino, cialtrone senza fede, giuda, e chi più ne ha, più ne metta, muori! Ecco la mia vendetta ! (lo colpisce col bastone)
P.U: Ah!, per la mia candela verde sono morto. Mi sono rotto l’intestino e forato il buzzino. Bugrelaoooo.

SCENA 4: Ubu re
(ricordandosi di essere in scena, anche se malconcio)
P.U: Ho la corona, per la mia candela verde, eccomi re! (delle spade di legno) Ora, mogliettina, mi farò costruire una grande bicicletta col rimorchio, con una grande sella comoda, e tutt’intorno sei seggiolini, dodici pedali e sei pedalatori. E potrò fare delle lunghe passeggiate senza stancarmi, e portarmi tutte le mie cose appresso, e poi farò mettere il telefono…
M.U: Non l’hanno ancora inventato, il telefono…
P.U: Meglio ancora, lo farò inventare e installare, e lo userò io solo, e non troverò mai occupato… E mi farò costruire la mia grande cappellina (sì?), con le nappe (sì!), un lusso spropositato di questi tempi, un’offesa al buon gusto. E ci mettrò sopra una stazione video che trasmetta i miei spostamenti 24 ore al giorno su tutti i tv color del regno
M.U: Ma questo lo fanno già tutti i capi di governo
P.U: Ma io fonderò un network, e ci metterò la pubblicità, l’interconnessione, i tg…
M.U: Questa è un’idea vecchia, vecchio Ubu. (allora?…)
P.U: Allora, allora costruirò un teatro. Il mio teatro. Con una grande e comoda platea, sì, ma con un palcoscenico molto più grande… E ci farei venire solo i teatranti veri, quelli che si divertono ancora nel teatro, e quelli che ancora credono il teatro serve a cambiare attore e spettatore, a cambiare lo stato delle cose. Ecco chi ci farei entrare, nel mio teatro… (in tono dimesso, cerca ancora scampo nello spettacolo, lei…)
M.U: Fa come vuoi Padre Ubu, e faranno di te un sol boccone.
P.U:Cornoblù, tu mi insulti. Madre Ubu ti farò vedere che cosa significa governare (ovvero: c’è un gran piacere nel giustiziare questi simboli di carta del potere…)

SCENA 5: La scena del consiglio
P.U: Porta la cassa da nobili, l’uncino da nobili, il coltello da nobili, e il libro da nobili, poi fai avanzare i nobili. Ho l’onore di annunciarti che per bisogno di denaro e per arricchire il regno farò morire tutti i nobili e prenderò i loro beni. M.U: Assassino! P.U: Fai avanzare il primo nobile. Quelli che saranno condannati a morte, li getterò nella botola, cadranno negli scantinati del pinza-porco e della camera dei soldi, dove saranno decervellati. (sono bottiglie che cadranno frantumandosi in una bacinella da lavandaia…) Chi sei bruffo?
M.U: Conte di Polock.
P.U: a quanto ammontano le tue rendite?
M.U: a tre milioni di rixdales.
P.U: Condannato, nella botola! Secondo nobile! Chi sei?
M.U: Granduca di Posen.
P.U: Ottimo ottimo! So che sei ricco, nella botola! Terzo nobile, chi sei?
M.U: Duca di Curlandia e della città di Riga.
P.U: Benissimo benissimo, colpevole! Allora nella botola! Divento ricco! Ora mi farò leggere il mio elenco dei miei beni. Cancelliere, per favore, leggete l’elenco dei miei beni.
M.U: Principato di Podollia, granducato di Posen, ducato di Curlandia, ducato di Thorn, contea di Sandomir, palatinato di Polock.
P.U: e poi?
M.U: E’ tutto.
P.U: Bene bene. Voglio fare delle leggi adesso. Avanti i magistrati. Prima di tutto riscriverò i codici di giustizia, dopo di chè mi occuperò delle finanze.
M.U: Ci opponiamo a qualsiasi cambiamento che non ci trovi d’accordo!
P.U: Nella botola anche i magistrati! Bene, adesso io amministrerò la giustizia e vedrai come tutto andrà per il meglio. Fai avanzare i finanzieri ora. Signori miei, fisserò una tassa del 1O per cento sulla proprietà, un’altra sul commercio e sull’industria, una terza sui matrimoni e una quarta sui decessi, di quindici franchi ciascuna.
M.U: Ma è una idiozia Padre Ubu!
P.U: Vi burlate di me! Nella botola anche i finanzieri!
M.U: Ora sono finiti. Non ci sono più magistrati, né nobili, né finanzieri.
P.U: Non temere mia dolce fanciulla, perché andrò io stesso di villaggio in villaggio a raccogliere le tasse.
(Così Ubu ha dettato nuove leggi. Ora può edificare il suo regno, il suo teatro…)

SCENA 6: La replica della ragione (1): il teatro
(Lui esce momentaneamente. Lei, attrice monologante…)
M.U: Povero Ubu, attore scalcagnato. E credi proprio che sia possibile tutto questo, credi proprio che te lo lascieranno fare impunemente? Oh, piccolo Ubu, ma allora credi davvero che il teatro possa entrare nella vita, ogni sera, e ogni sera pronto a buttarti in trincea… Con la tua spada giocattolo, contro macchine sofisticate, davvero come un piccolo esercito di liberazione con la sua violenza di legno che resiste contro il sistema esemplare dell’omologazione… Riprendi la tua corona di Ubu, e -allora- combatti la tua battaglia finale, e tenta, se puoi, di difendere i confini che hai segnato. (Lui rientra, e lei gli dà una lettera) C’è del marcio, e non solo in Parlamento. Quello che serve è trovare una soluzione differente dallo scontro fisico, dove si può…

SCENA 7: La replica della ragione (2): lo stato
Padre Ubu si sveglia. Madre Ubu lo guarda
M.U: Ah, Padre Ubu, è la guerra, è la guerra!
Padre Ubu fà scoppiare i petardi
M.U: Corriamo ad organizzare l’esercito, (sì) a raccogliere i viveri (sì), a preparare l’artiglieria e le fortezze (sì), a prendere il denaro per le truppe.
P.U: Eh no, questo poi no! Non voglio dar denaro per fare la guerra. Ah bravi, prima mi pagavano per fare la guerra ed ora io devo pagare per farla.
No, per la mia candela verde, fate la guerra se è proprio necessario, ma senza farmi sborsare nulla. (Resta in scena inopportunamente, non ne esce più. Ormai gli è chiaro che tenteranno di impedirgli di edificare il suo teatro… L’attrice esce.) Soldati. Soldati ed eserciti. Qui la cavalleria che viene, i fanti pronti per l’attacco. Ecco gli eserciti. Quel territorio polacco mi è necessario, e storicamente, storicamente mi appartiene. Lo compro! Ti dò trenta soldati del sud, quindici omosessuali, e qualche civile che cadrà vittima di un bombardamento su qualche villaggio normale, periferico, costiero. Lasciamo stare le capitali, per favore, potremmo fare qualche grosso danno davvero. (Cambia tono, abbandona Ubu per un attimo…) E’ così che si parlano nei tavoli internazionali, sui telefoni dei servizi segreti, ai cocktail, i generali? E con una canna di fiume si fa un po’ di pulizia, si combatte con valore, eroicamente, e intanto si incrementa l’industria e si riassetta bilancio ed economia. Ma bisogna pur muoversi, e quindi ci occorre un cavallo. E coriandoli per la parata, e le guardie schierate, e tamburi, e proclami… che io voglia o no, lo spettacolo è questo. Questa la mia guerra, quella che ho provata. E semino il campo di poveri morti, ma qui non ci sono famiglie che piangono i morti, qui la morte è indolore. Uno cade e si rialza. Il tempo di una rincorsa, una canzone, un… Un re è caduto, ma è per finta. E allora, che cosa ha provocato quell’eco, come di qualcosa caduta davvero. Forse il rumore di una guerra combattuta, reale, in oriente. Bisogna chiudere bene le imposte, e ridere, ridere, ridere forte, forte parlare. Bisogna soprattutto saper rispettare, Presidenti, direttori, cardinali. Rispettare tutti. E noi? Il rispetto per noi? Manca il tempo per produrre rispetto per noi, e per riflettere a fondo su di noi. Proviamo almeno a mandare segnali decifrabili per una conversazione…

SCENA 8: L’accampamento alle porte di Varsavia
(Che sia una guerra giusta, questa?)
P.U: Madre Ubu, dammi la mia corazza e la mia spada di legno. Presto sarò così stanco che non potrò fuggire se mi inseguiranno.
M.U: Che imbecille!
P.U: Non finirà mai questa guerra, i russi avanzano e mi faranno secco (C’è qualcosa di tremendamente serio in questo Ubu…)
M.U: Come è bello con il suo casco e la sua corazza, sembra una zucca armata.
P.U: Adesso monterò a cavallo. Madre Ubu portami il mio cavallo da finanze (ma c’è da stare al gioco, lo spettatore ha pagato…)
M.U: Padre Ubu, il tuo cavallo è morto
P.U: Cosa? M.U: Il tuo cavallo è morto…
P.U: E allora portamene un’altro. Pago dodici soldi al giorno per quel ronzino e adesso non mi può portare. Ve ne infischiate di me, del mio regno, corno d’Ubu, oppure mi volete derubare? Un cavallo un cavallo, il mio regno per un cavallo. Mi si porti un’altra bestia se questa non cammina, io sono il re e non andrò a piedi, cornoventraglia! (Si alza, Madre Ubu nitrisce…) Ah che bella bestia, ci monterò sopra. Anzi no, è meglio che mi ci segga, altrimenti potrei cadere. (Tenta di salire su una doppia scala a cavalcioni, ma M.U lo fa barcollare) Aiuto, aiuto! Finirò con il cadere e morire un’altra volta…
M.U: Che imbecille !
P.U: Corno fisica, sono mezzo morto! Ma non importa, vado alla guerra a piedi e ucciderò tutti lo stesso.
M.U: Bravo padre Ubu
P.U: Dimenticavo di dirti che ti affido la reggenza, ma porto con me il libro da finanze. Peggio per te se mi accorgerò al mio ritorno derubato. Addio madre Ubu.
M.U: Addio, Padre Ubu, addio. E ricordati di uccidere lo zar, e stai attento a non farti male.
P.U: Di sicuro. Torsione del naso e dei denti, estrazione della lingua e conficcamento del pezzetto di legno nelle onecchie…
M.U: Adesso che quel grosso fannullone se ne è andato cercherò di impadronirmi del tesoro!

SCENA 9: In viaggio verso la guerra
P.U: E’ deplorevole che lo stato delle nostre finanze non ci permetta di possedere una vettura adatta alla nostra misura, perché, per timore di demolire la nostra cavalcatura, abbiamo fatta tutta la strada a piedi, trascinando il nostro cavallo per la briglia. Ma quando saremo di ritorno in Polonia immagineremo, per mezzo della nostra scienza in fisica e aiutati dai lumi dei nostri consiglieri, una vettura a vento capace di trasportare tutto l’esercito. Ma ecco un mio soldato che si precipita qui.
S: Sire, tutto è perduto! I polacchi sono insorti, le guardie della regina sono morte, e la madre Ubu è in fuga per le montagne.
P.U: Cosa? Dove hai pescato, chi ti ha suggerito queste fanfaluche? Eccone una nuova! E chi avrebbe combinato tutto questo casino? Bugrelao scommetto. Da dove vieni soldato?
S: Da Varsavia, nobile signore.
P.U: Ragazzo della mia merdra, se ti credessi farei tornare indietro tutto l’esercito. Ma, signor ragazzo mio, sulle tue spalle ci sono più piume che cervello e tu avrai certamente sognato tutte queste sciocchezze. Va’ dunque dove infuria la battaglia. I russi non sono lontani e presto dovremmo affrontarli.
S: Padre Ubu, non vedete i russi schierati nella pianura?
P.U: E’ vero, i russi. Sto fresco!
S: I russi, il nemico!
P.U: Su signori, prendiamo lo schieramento per la battaglia. Noi resteremo arroccati sulla collina e non saremo così avventati da scendere a valle. Io mi terrò nel mezzo come un cittadella vivente e voialtri mi starete intorno. Vi ordino di mettere nei fucili tutte le pallottole che ci stanno, perché otto pallottole possono uccidere otto russi e tanti di meno me ne vedrò addosso. Mettete i fanti a piedi sotto la collina ad accogliere i russi e ucciderne un po’, e la cavalleria dietro, perché si butti nella mischia e ne ammazzi un’altro po’, e l’artiglieria intorno al mulino a vento e spareremo con la pistola da finanze dalla finestra, attraverso la porta sistemeremo di sbieco il bastone da fisica, e se qualcuno cercasse di entrare, attento all’uncino da merdra! Bene, così vinceremo. Che ore sono?
S: Le undici.
P.U: Bene, allora andiamo a mangiare perché i russi non attaccheranno prima di mezzogiorno. (Viene colpito da una palla di cannone, una palla di stracci come un pendolo fissata al graticcio…)
S: I russi attaccano! I russi, il nemico!

SCENA 10: Finalmente la battaglia
(cadono dal graticcio due, poi cinque, sette, dodici giacche militari che appese alle loro croci si fermano a diversa altezza. Ubu è “circondato” da questa truppa mossa dall’attrice, e mena colpi a dritta e a manca…)
P.U: Ebbene cosa posso farci! Non sono stato io ad ordinarglielo. Signori, prepariamoci al combattimento. Ah! non ce la faccio proprio più. Qui piove piombo di ferro e potrebbero danneggiare la nostra preziosa persona. Mettetemi in salvo! Attento a te signore, se ti acchiappo, perché mi hai fatto male: hai sentito? Otre da vino! Col tuo schioppo a tappi che fa cilecca. Ah che paura. Ah, Oh, sono ferito, sono bucherellato come un colabrodo, sono amministrato, sono sepolto vivo. Ma insomma, ora ho perso la pazienza, toh, e adesso riprovaci! Avanti, incalziamoli vigorosamente, combattiamo da uomini veri, passiamo il fossato. La vittoria è nostra. Finora sento sulla mia fronte più bernoccoli che allori. Ah signore, si salvi chi può, ecco lo zar. Ora passa il fossato. Pif, paf, quattro ne ha accoppati! Per San Giorgio sono inciampato. Ah sei tu, Bordure, amico mio, siamo tutti molto contenti di vederti. Ti farò cuocere a fuoco lento per quattro giorni. Ah sono morto, cosa è accaduto? Mi sono preso per lo meno una cannonata. Oh mon dieu, perdonate i miei peccati. Sì, è proprio una cannonata. E’ un colpo di pistola caricata ad acqua. Ah, ti burli di me! La pagherai, alla tasca! Non ne posso più, sono crivellato di calci, vorrei sedermi per terra. La mia bottiglia, dove è la mia bottiglia? Che importa, andate a prendere quella dello zar. Devo andare; anzi, andiamo. Sciabola da merdra, fai il tuo dovere e tu, uncino da finanze, non essere da meno. Che il bastone da fisica operi in generosa emulazione e condivida con il pezzetto di legno l’onore di massacrare separare e “struttare” l’imperatore. Avanti mio cavallo da finanze! Prendi tu! Ah, signore scusate, non l’ho fatto apposta! E lasciatemi in pace. Prendi tu, fellone! Vergine santa, quell’esaltato mi insegue! Cosa ho fatto mon dieu! Ah bene, c’è ancora un ostacolo da superare. Coraggio chiudiamo gli occhi. Bene, ci sono cascati. Hurrà, lo zar ci è cascato. Non oso voltarmi. E’ fatta. Gli sta bene e gli darò addosso. Su mia sciabola mettigliela tutta, ha la schiena dura quel miserabile! Io non oso guardare! Eppure la nostra predizione si è avverata, il bastone da fisica ha fatto meraviglia e senza dubbio lo avrei completamente ucciso, se non me la fossi fatta addosso. Basta signora, basta sono stanco. (l’attrice desiste?) Questa volta è la fine. Suvvia signori polacchi, avanti, o piuttosto no, indietro. Si salvi chi può. Un cavallo, un cavallo il mio regno per un cavallo. Signora basta sono stanco. Il mio regno per un cavallo…
(La battaglia è finita, l’attore che impersona Ubu è riverso a terra…) Basta, signora, sono stanco. Stanco di camminare volgendo le spalle al sole, stanco di riposare. Quanti giorni sono trascorsi dall’inizio del viaggio, e chi deciderà quando saremo arrivati al mare, se sia tempo di fermarci o ripartire… Sono solo un attore che arranca tra ricordi improbabili e teatrali, autobiografia di un re-ubu che la Storia non può tollerare, come il teatro. Libero, dentro la mia armatura, provo a recidere i fili che imbrigliano i sogni, mulinando la spada, i pensieri inzuppati di meraviglia di questa gente che chiamo soldati. Cercare di spezzare le strade della logica comune, mentre fili e strade confondono il cammino, complicano e intricano il paesaggio attorno. E provo a capire a che serve la mia blusa di ferro, se i colpi non li para, o la liturgia della guerra, officiata da impeccabili burattinai. Che cambia, se un re uccide un re e ne prende il posto. Io che non so usare la grammatica del re. E capire che la mia morte eventuale altro non cambierebbe che la mia vita eventuale. E d’altra parte, io non sono qui per morire davvero, e mi sono premunito, e porto assieme tutto il necessario teatrale per potervi far credere… E domani si replica, attori e commercianti, per un pubblico nuovo. Quanto tempo ho, prima della prossima scena? Ora ho ripreso fiato, e mi ripresento stizzoso a spazzare gli eserciti dal palcoscenico. Buon pro mi faccia, e mi aiuti a cogliere il senso di un gesto di conquista che la nebbia padana, o la miopia, o la lettura di gazzette e gazzettieri, mi nasconde alla vista.

SCENA 11: Verso l’epilogo
(Dopo aver ascoltato, e aver visto che Ubu non esce di scena, l’attrice riprende)
M.U: Eccomi finalmente al sicuro. Ma che corsa ho fatto attraverso la Polonia. Mi hanno assalito tutte le disgrazie in una volta. Non appena è partito quel grosso somaro del re Ubu sono corsa al palazzo per impadronirmi del tesoro. Ma ecco che arriva quel fanatico di Bugrelao con i suoi soldati e per poco rischio di rimanere uccisa. Ho perso anche il mio cavaliere, un prode palotino che era così innamorato di me che andava in estasi vedendomi, e anche non vedendomi, che è il colmo della tenerezza. Si sarebbe fatto tagliare in due per me, e infatti si è fatto tagliare in quattro da Bugrelao. Pif, paf, puf, ah! che dolore, ho creduto di morire. Allora fuggo, lascio il palazzo, arrivo alla Vistola. Tutti i ponti sono sorvegliati. Passo il fiume a nuoto sperando così di far perdere le mie tracce. Ma da ogni parte la nobiltà si raduna e mi dà la caccia. Mille volte corro il rischio di morire. Ma alla fine riesco ad ingannare il loro furore e dopo quattro giorni eccomi qui. Finalmente in salvo. E sono quattro giorni che non mangio, non bevo, non dormo, sono morta di fatica, di fame, di freddo. Vorrei proprio sapere che fine ha fatto quel grosso fantoccio del mio rispettabilissimo sposo. Eh, gliene avevo sgranfignate di finanze. Ah che bella storia sarebbe stata. Ma il tesoro è rimasto a Varsavia e potrà spenderlo chi vorrà.
(A questo punto la scena dell’apparizione non ha più senso. Ma ha forse senso giocare al teatro, e cercare nel teatro un’altra possibilità di eversione, uno spettacolo “nuovo”…)
P.U: Pigliate la Madre Ubu e tagliatele le onecchie!
M.U: Oh ma questa è la voce di Padre Ubu. Ma cosa farfuglia? Ancora quel cavallo. Ho un’idea: approfittando dell’oscurità, simulerò una apparizione soprannaturale e gli farò promettere di perdonarmi. Signor Ubu, ascoltate bene, questa voce è quella di San Gabriele che non può dar se non buoni consigli…
P.U: Questa poi!
M.U: Non interrompetemi! Ah signor padre Ubu, siete davvero un grosso tipo
P.U: Molto grosso si. E’ giusto.
M.U: Tacete. Siete sposato, signor Ubu?
P.U: Con l’ultima delle bisbetiche!
M.U: Volete dire con una donna affascinante P.U: No no no no… un orrore, una megera, non si sa per dove prenderla… M.U: Bisogna prenderla con la dolcezza e vedrete che si trasformerà nella venere di Milo P.U: Vi sbagliate,
non c’è difetto che non abbia.
M.U: Tacete, vostra moglie non è infedele.
P.U: Vorrei vedere, è una arpia!
M.U: Tutte queste sono menzogne, vostra moglie è senza difetti, e voi non siete altro che un mostro.
P.U: Tutte queste sono verità. Mia moglie è una briccona, e voi non siete altro che un… salame.
M.U: Dovete perdonare alla madre Ubu, per aver rubato un pò di denaro.
P.U: Cornoventraglia, le perdonerò quando mi avrà restituito il mio cavallo da finanze.
M.U: Ma sei proprio fissato con quel cavallo. (Mon cher acteur…)
P.U: Briccona.
M.U: Fanfarone.
P.U: Come diavolo sei arrivata fino qui?
M.U: Bugrelao mi ha scacciata…
P.U: E io ho perso la guerra contro i russi, non sono più re.
M.U: E io non sono più regina.
P.U: Cosa me ne importa! E poi hanno ucciso il mio cavallo!
M.U: Cosa me ne importa.
P.U: Ci vorrebbe un’idea. Una nave, datemi una nave! Madre Ubu, una nave presto.
(Tentare ancora… L’attrice issa alcune giacche a cui ha legato dei lenzuoli, e sono vele che si alzano. E spinge la torre mobile sul proscenio, come una prua…)

SCENA 12: Conclusione del primo spettacolo
M.U: Eccola!
P.U: Ah, che bella nave. Sono l’ammiraglio Ubu. Ah, che bella brezza! E’ un fatto che filiamo con una rapidità che ha del prodigioso. Alla velocità di almeno un milione di nodi al secondo e sono nodi che hanno questo di buono, una volta fatti non si disfano. Ah! Aiuto! Eccoci buttati a mare. La tua nave è tutta di traverso, si stà rovesciando.
M.U: Tutti sotto vento, bordate la vela di trinchetto!
P.U: Ma no, questa poi è una imprudenza, non mettetevi tutti dalla stessa parte! Supponete che il vento cambi direzione, si finirebbe tutti in fondo all’acqua e i pesci ci mangerebbero.
M.U: Non accostate!
P.U: Sì sì accostate. Ho fretta io! Accostate vi dico! Allora, pronti a virare. Gettate le ancore, virate di prua, virate di poppa, issate le vele, raccogliete le vele, barra sopra, barra sotto, barra di fianco, barra destra, barra sinistra… Avete sentito signor equipaggio? Ammainate il gran gallo, eseguite e andate a farvi friggere. (l’attrice gli tira addosso dell’acqua…) Oh che diluvio! Questo è senz’altro l’effetto delle manovre che abbiamo ordinato.
M.U: Splendida cosa è navigare. Ah che sollievo, presto rivedremo la dolce Francia, i nostri vecchi amici, il nostro castello di Mondragon.
P.U: Eh ci saremo presto. Stiamo arrivando nelle terre di Danimarca sotto il castello di Elsinore.
M.U: Oh, Elsinore, signore, un castello molto teatrale…
P.U: Ben detto, almeno quanto questo viaggio immaginario. E quando saremo in Francia, mi farò nominare padrone delle finanze a Parigi. Poi massacrerò tutti, cornoventraglia!
M.U: E adesso la nostra nobile imbarcazione si lancia a tutta velocità sulle cupe onde del mare del Nord.
P.U: Mare fiero e inospitale che bagna quel paese chiamato Germania.
M.U: Questa sì che la chiamerei sapienza. Deve essere un paese molto bello.
P.U: Ah signori per bello che sia non vale un quarto la Polonia. Se non ci fosse la Polonia non ci sarebbero i Polacchi.

fine